Gaetano Scognamiglio, Presidente PROMO P.A. Fondazione
Sfiducia nei confronti della politica, insufficiente formazione e forti perplessità sui sistemi di valutazione. Sono questi gli elementi che emergono dal nono rapporto su “La P.A. vista da chi la Dirige”, che sarà presentato il prossimo 28 maggio a Roma, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli Affari regionali e le Autonomie, in Via della Stamperia 8.
Il primo in particolare, come un fil rouge, attraversa tutte le tematiche del rapporto e le influenza.
Dall'indagine, che si pone nella scia degli studi “extragiuridici” sulla pubblica amministrazione, evocati dal Romagnosi, affiora infatti una mancanza di fiducia da parte della classe dirigente, che è pressoché totale e che si riflette con giudizi negativi non solo sulla riforma Madia, oggetto della maggioranza dei quesiti somministrati – dove magari possono prevalere interessi corporativi – ma anche su altre riforme, come la legge Delrio sulle autonomie locali (L. 56/2014) e il nuovo Codice dei contratti (D.Lgs. 50/2016).
A questo si aggiunge un carico di adempimenti sul piano dei controlli preventivi e successivi, dell’anticorruzione e della trasparenza che hanno costi occulti che possono sopportare e ammortizzare solo strutture di grandi dimensioni.
Nella sostanza la dirigenza sente su di sé tre carichi crescenti e ingiusti:
- il peso di applicare leggi – e quindi riforme – di scarsa qualità;
- la colpevolizzazione da parte di opinione pubblica e media che addebitano alla burocrazia ritardi e inefficienze che sono molto spesso causate dalla legislazione, di cui la burocrazia è necessariamente un riflesso, per non parlare del mantra della semplificazione irraggiungibile, specialmente se rincorsa con ulteriore normazione;
- la sovraesposizione sul piano delle responsabilità, già notevole se si riflette sul fatto che il dirigente cumula le responsabilità tipiche del privato con quelle del pubblico. Ma non basta: si è già fatto cenno in tema di anticorruzione. In materia di abuso di ufficio poi il disagio è aggravato dall'allargarsi del perimetro del reato oltre che per le violazioni di legge anche per quelle regolamentari, particolarmente insidiose per le linee guida Anac di rilievo regolamentare, dove è difficile, stante la discorsività del testo, l'individuazione del vincolo.
Da questo concatenarsi di elementi si produce una tempesta perfetta, che induce molti a una fuga dalle responsabilità, che appare giustificata in un contesto, dove non sono previsti neanche percorsi formativi di accompagnamento al processo riformistico, nella presunzione che una volta fatta una riforma e data la notizia ai giornali il problema sia risolto. La clausola di invarianza della spesa, che chiude come una beffa finale l’articolato delle riforme di questi anni, impedisce infatti di prevedere strumenti finanziari per accompagnarne l'implementazione, con l'acquisizione di nuove professionalità e soprattutto con la formazione, che già non gode di buona salute se si considera che nei primi risultati dell'ultimo Censimento permanente delle Istituzioni pubbliche dell’Istat, meno del 50% delle Istituzioni pubbliche dichiara di aver svolto attività formative e solo il 14% di aver adottato un piano formativo.
Nessun apprezzamento infine da parte della dirigenza per le regole sulla valutazione, sulle quali la fiducia è ai minimi termini perché l’esperienza ha dimostrato che gli obiettivi se pure assegnati, lo sono tardivamente e senza alcun confronto e che vi è scollegamento fra processo di valutazione e progressioni di carriera. Il dato è allarmante perché il giudizio negativo sul processo di valutazione è particolarmente indicativo di un rapporto di fiducia incrinato fra politica e amministrazione.