Che il tema della semplificazione del Paese sia al centro del dibattito politico è ormai noto a tutti e lo dimostrano le campagne elettorali di quasi tutte le forze politiche, dove vi è la consapevolezza che l’attuazione dei programmi e delle azioni passerà inevitabilmente dalla capacità di rendere le procedure più semplici, soprattutto nel settore degli appalti pubblici.
Su questo aspetto è intervenuto il decreto-legge 16 luglio 2020, “semplificazioni”, convertito nella Legge 120/2020 e dunque pienamente operativo. Nel provvedimento vi è il tentativo di imprimere una accelerazione nelle procedure di gara con modifiche e deroghe al Codice dei contratti e a numerose altre norme fra cui la legge 241/1990, il Codice del processo amministrativo e il Codice dei beni culturali.
Solo nei prossimi mesi potremo dire se un Decreto composto di quasi 100 articoli e 500 commi può davvero semplificare. Quel che è certo è che la norma, dando avvio ad un regime derogatorio fino al 31 dicembre 2021, introduce un’ulteriore categoria di norme, quelle a scadenza, che rischiano di complicare ulteriormente la vita degli operatori pubblici e privati.
In questo contesto, nel quale – come spesso accade nel nostro Paese – semplificare diventa molto complesso, la norma ha comunque una portata potenzialmente innovativa poiché il tempo diventa finalmente un criterio di valutazione dell’azione amministrativa. Lo dimostrano due novità significative.
In primo luogo l’obbligo del rispetto dei tempi stabiliti per la conclusione del procedimento di gara, a meno che la procedura non sia sospesa dall’autorità giudiziaria. L’aggiudicazione o l’individuazione del contraente deve avvenire conseguentemente entro due mesi nel caso di affidamenti diretti e entro quattro mesi nel caso di procedure negoziate. Il mancato rispetto dei termini rilevano ai fini della responsabilità del Rup per danno erariale.
In secondo luogo tutte le pubbliche amministrazioni dovranno «misurare e rendere pubblici i tempi effettivi di conclusione dei procedimenti amministrativi di maggiore impatto per i cittadini e per le imprese, comparandoli con i termini previsti dalla normativa vigente». La norma dovrebbe consentire di agire sulla riduzione dei tempi dei procedimenti, individuando prima quelli di “maggiore impatto” per cittadini e imprese e quindi rideterminando la durata degli stessi in modo da conferire maggiore celerità alla risposta della pubblica amministrazione. Il condizionale è d’obbligo perché la mappatura dei procedimenti e la comparazione tra tempi effettivi e termini previsti viene demandata ad un successivo DpCM attuativo, i cui tempi non saranno certamente brevi.
C’è quindi un’opportunità ma resta il dubbio che tra norme a scadenza, regolamenti attuativi e percorsi concertativi questa finestra di semplificazione che si è aperta per soli 15 mesi si richiuda prima che i funzionari pubblici e gli operatori economici siano messi nelle condizioni di operare e di accelerare veramente i processi di realizzazione delle opere pubbliche.
Annalisa Giachi, Responsabile Ricerche PROMO PA Fondazione