Fra le schede della Commissione Colao, composta da accademici di fama mondiale, sociologi, filosofi, psicologi, avvocati di grido, manager e molti economisti, ma priva significativamente di almeno un esperto di pubblica amministrazione, vi è quella per la riforma della PA. Fra le proposte la digitalizzazione, l’incremento dell’ e.procurement, lo sw al 50% come anticipato qualche giorno fa dalla Ministra Dadone, alzando l’asticella precedentemente collocata al 30% e infine – ovviamente – la semplificazione. Tutti temi non nuovi, da tempo all’attenzione degli operatori. Ma semplificare è complicato a cominciare dal tema degli appalti. Sulla materia, che ovviamente non è la sola a dover essere semplificata, una chiave di lettura per un approccio razionale al problema la dà la recente delibera dell’Anac, che interviene con cognizione di causa sulla semplificazione e la digitalizzazione, con il pregio di sottolineare alcuni aspetti da non sottovalutare quando si apre il capitolo semplificazioni. Il primo dei quali è che il codice dei contratti attua le direttive Ue in materia di appalti pubblici, al quale l’Italia è tenuta ad adeguarsi – magari rispettando il divieto di gold plating , che ha viceversa ignorato. Esclusa come pittoresca l’ipotesi di abolizione, anche quella di una regolamentazione ex novo appare controproducente perché giustamente la delibera rileva che «le continue modifiche alla normativa sugli appalti rischiano di produrre effetti contrari a quelli desiderati, spiazzando gli operatori del settore, che devono continuamente adeguare la propria organizzazione e le proprie procedure», posizione questa non a caso condivisa dagli interessati.
Le vie da percorrere secondo l’Anac sono quelle della piena attuazione del codice, con particolare riferimento a due aspetti. Il primo riguarda la digitalizzazione delle procedure, che se portata a compimento, potrebbe aiutare a semplificare molti degli adempimenti sulla trasparenza, rendendoli superflui. L’altro è quello della professionalizzazione delle stazioni appaltanti e della relativa qualificazione, prevista dall’articolo 38 del codice, anch’esso inattuato, sul quale l’Anac cita un recente studio di PROMO PA condotto in collaborazione con Jaegger , che dimostra la «difficoltà delle amministrazioni, soprattutto quelle più piccole, a svolgere analisi di mercato preliminari all’avvio della procedura, tali da consentire di confrontare prezzi e soluzioni, nonostante le possibilità di negoziazione previste dalle attuali procedure di gara». Un percorso dunque quello proposto dall’Autorità, che si pone in continuità con il quadro legislativo esistente e che minimizza i rischi sul piano interpretativo e attuativo, che possono derivare da soluzioni improvvisate. Analogo discorso può farsi, collegandosi alle misure già adottate per gli altri ambiti di semplificazione. Il decreto sulla semplificazione preannunciato dal Governo dovrebbe pertanto ampliare la portata dell’articolo 264 del decreto legge 34/2020, intervenendo anche sulla paradossale limitazione temporale al solo 2020 dell’accelerazione dei procedimenti, che è come dire che il regime normale è quello della complicazione. Occorre infine fare una riflessione a monte di ogni intervento di semplificazione: è evidente l’utilità di operare, a livello di prevenzione, su fenomeni patologici come la corruzione ma deve essere altrettanto chiaro che più si ampliano gli adempimenti a livello preventivo più si incide sull’allungamento dei tempi delle procedure. L’enfatizzazione sulla prevenzione deriva anche dalla bassa collocazione dell’Italia nelle graduatorie internazionali sulla corruzione, considerate peraltro inattendibili da autorevoli commentatori, sulle quali andrebbe fatto un discorso a parte anche per il mancato riscontro nelle evidenze oggettive della incidenza dei reati contro la PA. Già Zanardelli si poneva il problema dell’equilibrio fra prevenzione e repressione, privilegiando la seconda. Oggi che i mezzi di indagine non mancano di certo per un’efficace opera di repressione, si potrebbero ridurre gli oneri sul primo versante a beneficio dell’accorciamento dei tempi. Per il resto sarà difficile se non impossibile attendersi testi normativi che si possano leggere senza l’assistenza di un esperto ma intanto attuare il codice a quattro anni dall’emanazione e continuare la strada intrapresa dall’articolo 264 del decreto legge 34/2020 sarebbe già un successo.
Gaetano Scognamiglio, Presidente PROMO PA Fondazione