“Finchè la pende la rende”

Vincenzo Del Regno, Segretario Generale Comune di Firenze
 

Ancora una volta la realistica sagacia toscana riassume ed esprime il temporeggiamento cui stiamo assistendo nell’individuare la strada legittima per l’abolizione dei vitalizi dei Senatori condannati per determinati reati.* Il brocardo, noto al mondo dell’avvocatura, “dum pendet red(/n)det”, altro non è che la traduzione, non remota, in latino di un detto toscano “finché la pende, la rende” . **

La premura di muoversi nella legittimità è tanta che, sono stati chiamati pronunciarsi su di essa la crème dei costituzionalisti italiani con pareri pro veritate con il risultato che, per dirla con Zagrebelsky, “la questione che sembrava chiara è diventata confusa”.

Vediamo a grandi linee le argomentazioni sostenute per dare una qualificazione al vitalizio:

  • Per alcuni autori (Mirabelli, Cassese, Luciani), pur con diverse sfumature tra loro, è qualificabile come un diritto soggettivo perfetto alla stregua di un trattamento pensionistico, di qui la necessità di una fonte legislativa e non regolamentare degli interna corsporis acta nel disciplinare la sua cessazione, in quanto eliminare il vitalizio può costituire una pena accessoria che sottostà alla riserva assoluta di legge, al principio dell’irretroattività della legge penale e all’immutabilità nel tempo dei diritti quesiti.
  • Per altri (Gallo, Ainis, Ricci, Pace) si tratta di un beneficio (auto)concesso (d)ai parlamentari per il solo fatto di aver ricoperto il ruolo (onorevole) di rappresentante del popolo italiano. La sua cessazione dunque può esser disposta laddove sopraggiungano cause di indegnità morale, con lo stesso atto che l’ho ha istituito (delibera del Consiglio di presidenza del Senato). Niente sanzione penale, niente diritti quesiti, perché il vitalizio non è equiparabile ad una pensione ordinaria, così come l’esser senatore non può esser equiparabile allo svolgimento di un lavoro giuridicamente (e ordinariamente) inteso.

Questa seconda impostazione mi trova concorde.
Come ben sostiene Zagrebelsky, nell’analisi occorre farsi guidare dal principio di ragionevolezza, principio guida del diritto, eppure, con quest’ultimo, tante volte confliggente.
Già nel 1994 la Corte Cost. con sentenza n. 289/94 individuava la diversa natura che contraddistingue l’assegno vitalizio dalla pensione.
Esso nasce da un regime mutualistico scelto dalle Camere che poi si è evoluto in senso previdenziale, ma il nomen iuris non muta la natura giuridica dell’istituto, solo perché la sua disciplina è stata nel tempo adattata a quella previdenziale.
L’assegno vitalizio è un unicum nel sistema (Cass. Civ. sez V, 20538/2010), così come lo è il “mestiere” di parlamentare, “tale trattamento gode di un privilegio rispetto al trattamento spettante alla generalità dei consociati, e ciò tra le altre cose sia per le condizioni base alle quali esso viene concesso (cinque soli anni di attività parlamentare) sia per l’ingente misura degli emolumenti corrisposti a titolo di pensione” (A. Pace).
Questo detto, ed in considerazione che il vitalizio/pensione trova la sua origine in un atto di natura regolamentare interna alle Camere stesse (fonte primaria del diritto), per il noto principio del contrarius actus, da questo può essere revocato nel caso in cui, a seguito di condanne di particolare gravità, si perdano i requisiti soggettivi (Corte cost. n. 132/2001) di onorabilità e di dignità morale legati alla ragione giudica del percepimento.
La legge Severino (Dlgs n. 235/2012) è la chiave di lettura dell’adeguamento (ragionevole) alla stessa della disciplina dei vitalizi e non vi è spazio per accampare l’esistenza di istituti come la sanzione penale accessoria, il principio di irretroattività, la salvaguardia di diritti quesiti, il principio dell’affidamento.
E’ invece il principio di parità di trattamento che impone la cessazione del vitalizio per i senatori (e quando per i deputati?) condannati.
Legittima è la fonte (regolamento interno) e legittimo è il contenuto (la cessazione del vitalizio) – con o senza le “mitigazioni” prospettate, quali la restituzione dei contributi versati, la riduzione proporzionale del vitalizio a seconda del reato – ma per il momento, ancora, la questione resta “appesa” ….e continua a rendere.

* Lo schema di delibera predisposto dal Consiglio di presidenza del Senato prevede la cessazione dell’erogazione dei trattamenti previdenziali in favore dei senatori cessati dal mandato che siano condannati in via definitiva: “a) a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’art. 51 commi 3 bis e 3 quater , del Codice di Procedura Penale e dagli articoli da 314 a 326 del codice penale; b) a pene superiori a due anni di reclusione per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, così determinata ai sensi dell’art. 278 del codice di procedura penale”
** F. Cipriani, Dum pendet rendet Un antico brocardo o una recente traduzione?, La Previdenza forense 2006

 


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