di Luigi Maria De Angelis
Con la pubblicazione del Decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’art. 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190” stanno sorgendo in molti enti locali dubbi interpretativi sull’applicazione delle disposizioni alle situazioni attualmente esistenti.
Mentre le disposizioni in materia di conferimento di incarichi sembrano chiare e possono fin da subito avere una diretta applicazione, non potendo che operare il conferimento per il futuro, le disposizioni sull’incompatibilità devono fare i conti con incarichi in essere che sono conferiti in base ad una diversa normativa di riferimento.
In modo particolare, l’attenzione di molti enti locali è centrata sulla portata dell’applicazione dell’art. 12 del citato decreto legislativo relativo all’incompatibilità tra incarichi dirigenziali e cariche di componenti degli organi di indirizzo nelle amministrazioni regionali e locali, con specifico riferimento alle cariche di componenti di giunta, consiglio, sindaco e presidenti di provincia.
Nel d.lgs. 39/13 nulla è chiarito rispetto agli atti da adottare per le situazioni già consolidate al momento dell’entrata in vigore della nuova normativa (4 maggio 2013) e in molti enti è sorto il dubbio se l’incompatibilità disposta dal nuovo decreto legislativo debba portare alla decadenza degli incarichi o se debba prevalere il principio”tempus regit actum” per il quale gli incarichi consolidati andrebbero a scadenza con la normativa previgente in tema di incompatibilità.
Si tratta, in questo caso, di un tipico caso di “ius superveniens” che incide su situazioni giuridiche ormai consolidate, sia pure in corso di svolgimento.
Secondo un orientamento ormai consolidato della giustizia amministrativa “l’applicabilità dello ius seperveniens presuppone che il procedimento sia ancora in itinere” (C.d.S., III, parere 440/2007, C.d.S. 17/10/2003 n. 6361, C.d.S. 5/10/2005 n. 5316), a nulla rilevando che il provvedimento amministrativo sia tutt’ora produttivo di effetti al momento dell’entrata in vigore della norma sopravvenuta.
Pertanto, sia la dottrina maggioritaria che la giurisprudenza amministrativa tendono ad escludere che un provvedimento originariamente conforme al dettato normativo possa risultare considerato viziato a causa del mutato scenario normativo. Conseguentemente, devono considerarsi come tutt’ora pienamente legittimi ed idonei a produrre i propri effetti, fino a naturale scadenza, sia gli incarichi dirigenziali che le cariche politiche ricoperte presso regioni ed enti locali, già consolidati, prima della data di entrata in vigore del d.lgs. 39/13.
Secondo parte della dottrina e della giurisprudenza (Picone, I temi generali del diritto amministrativo, II, ESI, 2000, 245 ss., C.d.S. 6361/03), invece, una ipotesi di invalidità successiva di provvedimenti amministrativi consolidati sarebbe individuabile in presenza di leggi retroattive, ovvero di leggi che dispongano ora per allora.
Il principio della irretroattività della legge è, nel nostro ordinamento, espressamente previsto dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile e, secondo giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale, il principio di irretroattività della legge non assume rango costituzionale, se non in materia penale.
La retroattività delle leggi comunque, secondo la giurisprudenza consolidata della stessa Corte Costituzionale, non è affidata alla piena discrezionalità del legislatore, in quanto l’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile si pone come indirizzo al legislatore ordinario, ma è soggetta al puntuale rispetto di principi di portata costituzionale quale il principio di uguaglianza, l’esigenza della certezza del diritto, il rispetto del principio di ragionevolezza e, caso che qui interessa in modo particolare, il rispetto del principio di libertà del voto (Corte Cost. 374/2002, ord. 263/2002, 419/2000, 229/1999).
Occorre, pertanto, analizzare, sia pure in linea di massima, la portata dell’art. 51 della Costituzione, secondo cui “tutti i cittadini… possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizione di uguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. La Corte Costituzionale si è ripetutamente pronunciata circa la natura e la portata delle prescrizioni dell’art. 51 della Costituzione affermando che il diritto di eleggibilità costituisce un’applicazione del principio generale di uguaglianza affermato dall’art. 3 della Costituzione ” (Corte Cost. n.186/1972), che l’eleggibilità sia da considerare la regola e l’ineleggibilità l’eccezione (Corte Cost. Set. nn. 46/69, 235/88 e 510/89), ma anche che l’elettorato passivo è “diritto politico fondamentale” compreso nei diritti inviolabili di cui allart. 2 della Costituzione ( Corte Cost. Sent. n. 571/1989).
Appare pertanto evidente che non soltanto nel caso delle incompatibilità fra cariche politiche ed incarichi dirigenziali non possa trovare applicazione il principio dello “ius perveniens” ma al contrario debba applicarsi il principio “tempus regit actum”, secondo il consolidato orientamento della giustizia amministrativa, ma anche che non possa trovare alcuno spazio il criterio di applicazione retroattiva delle disposizioni di cui al citato d.lgs. 39/13, alla luce della indubbia tutela costituzionale riconosciuta alle posizioni giuridiche soggettive oggetto delle citate disposizioni di legge, secondo quanto prospettato dalla, ormai da tempo consolidata, giurisprudenza della Corte Costituzionale.
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