Gaetano Scognamiglio, Presidente, PROMO P.A. Fondazione
Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose. Così parlava il grande Albert e così è opportuno riflettere sulle sue parole all’inizio di un percorso di grande impegno e responsabilità per i Segretari, per tutti gli altri responsabili della prevenzione della corruzione, nonché per i dirigenti.
Quali sono le stesse cose? Eccole:
- prendere un piano triennale di prevenzione (scadenza 31 gennaio, vicina!) o un codice di comportamento interno (scadenza 16 dicembre, vicinissima!) preconfezionato e copiarselo o, come massimo impegno, copiarlo dal collega;
- prevedere adempimenti ulteriori senza averne valutato attentamente la sostenibilità;
- svolgere l’attività di monitoraggio e vigilanza senza averne definito esattamente i contorni e senza una metodologia che ne assicuri la tracciabilità, nell’interesse dell’amministrazione e del RAC.
L’esternalizzazione o la giuridicizzazione (come la definisce la Sezione di controllo della Corte dei Conti del Lazio) dei controlli interni si riflette sulla normativa anticorruzione, dove analogamente la regolamentazione cessa di essere un fatto interno, sconosciuta ai più e di fatto inapplicata (salvo marginali aree di interesse specie in materia di personale). Succede che da domani, anzi da oggi, la Corte dei Conti, la Civit, il Dipartimento della Funzione Pubblica chiederanno conto del perché quel tale adempimento non sia stato rispettato. Quindi, come vediamo nei film polizieschi anglosassoni, dove l’arrestato viene avvertito che qualsiasi cosa dirà potrà essere usata contro di lui, così qualsiasi cosa si scriverà senza averne valutato la sostenibilità si ritorcerà contro chi l’ha scritta.
Cosa cambiare:
- innanzitutto la costruzione dei piani e del codice deve essere il risultato di un confronto interno con la struttura – come peraltro giustamente auspicato dalla circolare 1/2013 del DPF – e deve mirare a una semplificazione delle regole di governance, anche con l’integrazione fra regolamenti preesistenti in materia, prima di tutto quello dei controlli interni. Se non è chiaro questo obiettivo si rischia concretamente di rallentare tutte le attività. Costituire un gruppo di lavoro e farlo partecipare a momenti di formazione accompagnamento per comprendere quali sono gli ambiti di autonomia e quali le tecnicalità di redazione e revisione delle regole interne rappresenta un buon inizio;
- la triennalità dei piani ne consente una applicazione in progress. Un approccio pragmatico consiglia perciò di evitare atteggiamenti zelanti e di procedere per gradi. Di anno in anno poi si potranno, con gli aggiornamenti previsti, dopo aver valutato se sono stati raggiunti gli obiettivi fissati, aggiungerne di nuovi;
- l’attività di monitoraggio e di vigilanza prevista in particolare nel PTPC, non può essere assolutamente svolta se non la si definisce con chiarezza nello stesso piano. Questo a tutela del RAC ma anche dei dirigenti e dei funzionari. La tracciabilità è inoltre essenziale per ricostruire comportamenti e responsabilità. Si pensi alla difficoltà per il RAC di poter dimostrare di aver fatto quanto nelle sue competenze e doveri se a distanza di anni viene chiamato a rispondere per omessa vigilanza. È qui che il cambiamento deve essere radicale. Un monitoraggio efficiente, ordinato e soprattutto veloce infatti si deve appoggiare su una procedura standardizzata e deve svolgersi – come ad esempioTracciabilità Anti Corruzione – su una piattaforma informatica che ne consenta la tracciabilità.
In conclusione l’alluvione normativa di questi anni ha determinato al di là delle intenzioni grande incertezza nelle attività degli operatori. La normativa anticorruzione e quella collegata potrebbero aggiungere all’incertezza una paralisi operativa derivante dal rischio di ulteriori responsabilità, spesso oggettive. Se non si vuole che ciò accada bisogna smettere di fare le stesse cose.
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