Gaetano Scognamiglio, Presidente, PROMO P.A. Fondazione
Opportunamente il neo Ministro della Funzione Pubblica, Filippo Patroni Griffi, nella sua recente audizione alla Camera dei Deputati ha affermato che "… il funzionario pubblico deve sentirsi parte di un corpo. E i corpi pubblici devono condividere un idem sentire. L'idea che i lavoratori pubblici debbano rispettare regole di condotta e di 'onestà', contenute in 'codici etici', risale, in parte, al Rapporto Giannini e, ancor più, ai successivi programmi attuati da Sabino Cassese agli inizi degli anni Novanta, tra i quali l'introduzione del 'Codice di comportamento dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni', sottoposto poi a più recenti modificazioni. La promozione degli obiettivi di integrità, così come indicati dalla riforma del 2009 e implementati dalle previsioni del 'Ddl anticorruzione', richiede una nuova attenzione al possibile aggiornamento del codice di condotta e allo sviluppo di codici o manifesti etici presso le singole Amministrazioni, da formulare in chiave programmatica e molto meno 'per principi'…".
L’affermazione del Ministro Patroni Griffi è rilevante perché sottolinea una circostanza ricorrente, quella cioè di trovarsi di fronte spesso a documenti, regolamenti, codici di comportamento che al di là delle parole non riescono a declinare concretamente i principi enunciati. Manca cioè – continua il Ministro Patroni Griffi – da parte delle Amministrazioni la capacità di adottare concrete "misure gestionali volte a prevenire fenomeni illeciti riconducibili alla violazione delle predette regole … misure che rendano più analitico e incisivo il contrasto alla corruzione sul versante della prevenzione, in particolare rendendo applicativa una efficace 'mappatura dei rischi', e più in generale una 'valutazione del rischio' all'interno degli apparati e delle azioni amministrative, nonché un controllo effettivo dei piani contro la corruzione delle singole Amministrazioni".
Le ricerche sul tema condotte da Promo P.A. Fondazione con il progetto Aurea e con le risorse del POR CREO 2007-2013, che hanno coinvolto 4 Regioni, Toscana, Sardegna, Abruzzo e Piemonte, costituiscono un ricco apporto conoscitivo delle dinamiche presenti negli Enti Locali, dello stato dell’arte e delle aspettative degli operatori, in relazione al controllo di regolarità amministrativa, declinato come uno strumento concreto per l’attuazione, non solo dell’obbligo già imposto dal D.Lgs. 286/99, ma ancor più di quanto previsto dall’art. 11 del D.Lgs. 150/09.
Sul piano delle aspettative, infatti, appare fuori discussione il giudizio positivo sull’utilità del controllo di regolarità amministrativa (il 23,2% lo considera utile, il 35,1 % lo considera molto utile ed il 34,3% indispensabile) ed altrettanto nitida risulta essere l’opinione sul possibile raccordo virtuoso con le azioni per l’integrità e la legalità previste dal D.Lgs. n. 150/09 ed il collegamento con il sistema premiante. Il 59,5% degli intervistati pensa che i risultati del controllo possano costituire un indicatore sulla 'performance della legalità'.
Gli operatori degli Enti Locali considerano dunque questa funzione particolarmente utile, ma per una serie di motivi non riescono a declinarla concretamente. Fra i motivi più evidenti sia la complessità legislativa, arrivata forse al punto di rottura, che fa ritenere qualsiasi tipo di controllo un ulteriore appesantimento, sia il prevalere in questi anni di una cultura del risultato, che fa scivolare in secondo piano l’attenzione alla regolarità amministrativa e alle relative procedure, viste come un intralcio burocratico di vecchio stampo. A questo si aggiunge un vuoto assoluto, nelle organizzazioni interne degli enti , di punti di riferimento in materia e di protocolli di lavoro standardizzati.
L’effetto paradosso è che gli atti maggiormente esposti a patologie, che sono quelli monocratici, rappresentano, nel sistema delle autonomie locali, quelli (le cd determine dirigenziali) attraverso i quali passa la maggior parte della spesa , al di fuori di ogni tipo di controllo.
In questo scenario si colloca Auditing Pa, come un sistema di controllo, di tipo collaborativo, elaborato dalla Fondazione che supera il modello burocratico tradizionale, basandosi sull’analisi del rischio e sull’azzeramento dei tempi, nella convinzione che controllare tutto significa non controllare nulla.
Le esperienze sul campo dimostrano poi che l’introduzione di moderne tecniche selettive di controllo, quali quelle di Auditing PA, inserite in un quadro che attribuisca valore aggiunto alla prevenzione di comportamenti patologici, produce già a breve importanti risultati sul versante della qualità degli atti e rafforza lo spirito di corpo e l’autonomia professionale dei Dirigenti.
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