Norme per i media e norme per i gestori

Francesco Verbaro, Professore SNA Scuola Nazionale dell'Amministrazione
 

Lo schema di decreto legislativo approvato in Consiglio dei Ministri sul procedimento disciplinare in caso di falsa attestazione della presenza in servizio ci costringe a fare il punto sulle scelte operate dal legislatore nei confronti delle problematiche oggi presenti nella PA.

Si parla ancora una volta di personale, di assenteismo e di licenziabilità o meno dei “furbetti”. Parliamo quindi ancora una volta del fattore di produzione “personale”, ma non dei prodotti e dei servizi attesi.

Riproviamo con le norme, ma i problemi richiamati riguardano innanzi tutto la macro organizzazione, l'assetto e quindi l'utilizzo delle risorse umane e finanziarie. La cattiva gestione delle risorse umane si fonda in generale sul cattivo reclutamento, sull'inefficiente utilizzo, su meccanismi retributivi e di carriera non incentivanti e sul mancato aggiornamento delle risorse rispetto ai processi di lavoro, che rimangono comunque vecchi e farraginosi. In generale manca a monte una programmazione seria sull’impiego delle risorse umane e manca a valle una vera valutazione.
Certi comportamenti patologici, come l'assenteismo di massa, sono il frutto di una mancata gestione, di una mancata programmazione, della mancanza di obiettivi e risultati veri in termini di servizi valutabili. Se in alcune amministrazioni si assentano decine di dipendenti, il problema non sta nella licenziabilità o meno degli assenteisti, ma in un vuoto di governo della macchina, in una inefficienza strutturale e in un decadimento morale, probabilmente condivisi e accettati. Adesso il Governo ha annunciato misure anche per alcune forme di assenteismo collettivo o organizzato, che certamente sono anche il risultato di anni di non governo di enti e aziende pubbliche.

Andando al merito del provvedimento, sulla licenziabilità dei dipendenti che falsificano l'attestazione delle presenze, occorre dire che la normativa in materia esiste ed è contenuta nel d.lgs. 165/2001. Si applica raramente per amore del quieto vivere, omertà e perché "rischiosa" per il dirigente. L’art. 54-quater sul licenziamento disciplinare la individua come fattispecie da licenziamento, ma potremmo senz’altro dire che potrebbe rientrare in quei fatti per i quali attivare il recesso per giusta causa (2119 cc).

Il decreto legislativo approvato definisce la fattispecie della falsa attestazione della presenza in servizio. Quindi l’immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, con provvedimento motivato, in via immediata e comunque entro quarantotto ore dal momento in cui si è venuti a conoscenza dei fatti. Tali tempi così ristretti avrebbero danneggiato il datore di lavoro se il legislatore non avesse precisato che la violazione di tale termine non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’inefficacia della sospensione cautelare oppure l’invalidità della sanzione irrogata, salvo che non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente. Il legislatore ha scelto una fattispecie, quella mediaticamente più censurata della falsa attestazione della presenza, certamente non la più grave, e ha previsto per essa un procedimento disciplinare breve. I media e l’opinione pubblica forse, ma la PA non aveva bisogno di tempi più stretti nel procedimento disciplinare, ma di “tutele” di salvaguardia in caso di vizi formali del procedimento, già sufficientemente farraginoso e rischioso.

Ferme restando le problematiche relative all’organizzazione alla gestione del lavoro, che richiederebbero un cambio di approccio e un’etica sull’utilizzo delle risorse pubbliche nonché una cultura manageriale da sempre assente, la rischiosità del procedimento di licenziamento potrebbe essere attenuata con alcune piccole modifiche normative, mutuandole dall'art.18 della legge 300/70 e dall'art. 3 del d.lgs. 23/2015. Norme di cui andrebbe chiarito l’ambito di applicazione per la PA. La prima regola di semplificazione, importante per chi gestisce, è la certezza del quadro normativo, che non può essere rinviata al consolidamento della giurisprudenza.
Quindi potrebbe essere utile, ad esempio, introdurre nel d.lgs. 165/2001 la norma che, in caso di vizi formali e procedurali nel licenziamento, abbastanza frequenti nell'amministrazione, si preveda anche nella PA il pagamento di un'indennità e non il reintegro. Inoltre, senza tuffarsi tra le correnti di Scilla e Cariddi del fatto giuridico e di quello materiale, si dovrebbero migliorare molti codici disciplinari che disegnano fattispecie ambigue e difficili da provare per il datore di lavoro. Codici scritti per non essere mai applicati. In tutti i casi, si dovrebbe precisare che in caso di pagamento dell'indennità non si configura la responsabilità erariale per il dirigente. Una norma analoga di esenzione venne prevista in passato nel contenzioso lavoristico in caso di conciliazioni in adesione. Il dirigente che ha sbagliato il procedimento disciplinare verrebbe sanzionato solo dal punto di vista della responsabilità dirigenziale, con effetti sulla retribuzione di risultato, ma non avrebbe lo spauracchio della responsabilità amministrativa. Ciò dovrebbe valere anche per l'indennità prevista al comma 3 dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
L'istituto del licenziamento disciplinare non può essere uno strumento gestionale, ma deve esserci e deve funzionare quando serve. L'importante ancora una volta è, nei confronti del malato "PA", non sbagliare diagnosi e terapia. L'eccesso di norme, sbagliate e inutili, sta intossicando da tempo il malato oltre che consumando la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.


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