Gaetano Scognamiglio, Presidente PROMO P.A. Fondazione
La Pubblica Amministrazione, e in particolare la dirigenza, sta entrando in una fase nella quale sarà necessario un particolare impegno, perché nei prossimi mesi dovranno essere declinate concretamente due grandi riforme, quella dei contratti pubblici e quella della PA, che cominciano a prendere forma attraverso i numerosi decreti delegati, molti dei quali hanno cominciato l'iter per l’approvazione.
Per quanto riguarda la riforma della PA siamo di fronte ad un nuovo tentativo di dare efficienza alla macchina amministrativa dopo le tre importanti riforme che l'avevano preceduta, quella fondamentale sulla privatizzazione del rapporto di lavoro (Legge 29/1993), quella Bassanini sul decentramento amministrativo (Legge 59/1997) e quella Brunetta sul rafforzamento del potere datoriale e della trasparenza (Legge 15/2009 e D.Lgs. 150/2009). Va peraltro notato che alcune parti della Legge 124/2015 intervengono in ambiti già toccati dalle precedenti riforme, sostanzialmente in un’ottica di manutenzione miglioramento o rafforzamento. Ciò a conferma che per modificare culture e comportamenti non sono sufficienti solo le leggi, specie quando non sono coerenti e ci si trova di fronte ad assurdi normativi, come ad esempio negli enti locali la possibilità di approvare i bilanci a fine esercizio, con l'effetto che i PEG e i conseguenti obiettivi di performance ai dirigenti vengono dati a ridosso della scadenza del termine.
Va aggiunto che a prescindere dalle conclamata impossibilità di applicazione, esiste l'altra difficoltà che è quella di interpretare e declinare concretamente una legislazione instabile, ipertrofica e di qualità a volte modesta.
Qualità che i pittoreschi episodi di Sanremo e quelli assurdi di Caserta certo non aiutano a migliorare, spingendo il legislatore a intervenire, sotto la spinta della giusta indignazione dell'opinione pubblica, con provvedimenti di natura emergenziale.
Tutto ciò premesso sarebbe auspicabile che questa riforma contribuisse a dare stabilità al sistema e che per i prossimi anni ci si occupasse non di farne altre ma di applicarla.
Perché ciò avvenga e perché la prossima (non auspicata né desiderata) riforma non debba ripetere i contenuti disapplicati di questa, non basta l'illusione che la legge da sola sia sufficiente, né è una garanzia di successo rafforzare l'apparato sanzionatorio e alzare il livello di responsabilità dei dirigenti (peraltro già notevole).
Bisogna piuttosto accompagnare la riforma della PA da un processo di condivisione con la struttura, che passa necessariamente attraverso la formazione mirata del personale ai vari livelli.
È arrivato il momento di ripensare la norma del D.L. 78/2010 (limiti alle spese di formazione) o in subordine di considerare come formazione obbligatoria, esclusa dai tagli di bilancio, quella che riguarda le riforme della PA e dei contratti pubblici.
Analoghe riflessione si possono fare appunto per il nuovo codice degli appalti pubblici e dei contratti in concessione che ha iniziato il suo iter in attuazione della Legge delega 11/2016, evidenziando una circostanza che accomuna le due riforme: la centralità dell'ANAC nell'applicazione delle nuove norme e l'accresciuto ruolo della Corte dei Conti (si pensi ad esempio all'intervento nel procedimento di costituzione di nuove società a partecipazione pubblica previsto dall'art 5 del decreto legislativo attuativo dell'art 18 della Legge 124/2015). Dalla capacità della prima di svolgere un ruolo di accompagnamento in un'ottica di semplificazione e dall'esperienza della Corte per consolidare una funzione collaborativa e di unicità interpretativa, che sappia tener conto delle oggettive difficoltà in cui la PA spesso opera, dipenderà il successo delle due riforme.
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