Annalisa Giachi, Responsabile Ricerche, PROMO P.A. Fondazione
L'implementazione delle politiche attive per il lavoro ha rappresentato nell’ultimo ventennio una risposta comune di tutti gli Stati Membri dell'UE per fronteggiare il problema della disoccupazione. In particolare la Strategia Europea per l'Occupazione (SEO) del 1997, con i suoi quattro pilastri d'intervento (occupabilità, imprenditorialità, adattabilità, pari opportunità) e con tutto ciò che ne è conseguito (la Strategia Europa 2020, la programmazione FSE 2000-2006) ha rappresentato una vera e propria svolta, perché ha posto come principio politico l'obiettivo della prevenzione e dell'attivazione precoce nelle politiche occupazionali. Questo complesso di strumenti ha determinato, in Italia e nei diversi paesi UE, un nuovo modo di concepire le azioni per lo sviluppo occupazionale e sociale, sempre più incentrato sul concetto di integrazione tra diverse policy e diversi soggetti impegnati a realizzarle. I Centri per l’Impiego (Cpi) sono stati e sono tutt’oggi uno snodo strategico fondamentale per il successo delle politiche attive: in Italia la riforma del collocamento e l’introduzione di un sistema misto pubblico-privato ha dato risultati non pienamente soddisfacenti e si pone adesso il tema di come rinnovare queste strutture, anche alla luce dei modelli di successo vincenti in Europa e delle best practise esistenti che possono fornire input e indicazioni importanti su come migliorare le politiche attuali.
E’ con queste premesse che Promo P.A. Fondazione, in collaborazione con l’IRPET, ha svolto un’indagine in chiave comparata sulle politiche e le prassi vigenti in Europa in materia di politiche attive e passive del lavoro rivolte ai giovani. Sono stati analizzati i sistemi di Welfare giovanili di: Gran Bretagna, Spagna, Germania e Svezia. La finalità della ricerca è quella di ottenere una mappatura comparativa che possa fornire indicazioni utili per il caso italiano al fine di individuare linee di azione interessanti per azioni di potenziamento dell’offerta a livello nazionale e regionale.
Rispetto alle caratteristiche sistemiche delle politiche del lavoro giovanili nei sistemi analizzati è possibile individuare quattro modelli:
• Modello inglese: è un modello di tipo “agenziale” che si basa sul ruolo di coordinamento da parte di agenzie indipendenti e sul principio cardine del “Welfare to Work” ovvero su servizi di tipo assistenziale in tema di lavoro finalizzati a prevenire l’esclusione sociale attraverso interventi di formazione e di orientamento, al fine di fornire ai lavoratori disoccupati gli strumenti per accrescere le loro capacità professionali. Si sostanzia nella concentrazione delle politiche passive verso soggetti deboli e emarginati e sul nel ricorso a meccanismi di mercato per attuare le politiche attive, come per esempio la bassa regolamentazione e il ricorso a schemi privatistici.
• Modello tedesco: è un modello “corporativo” tipico dell’Europa continentale e basato sul pieno coinvolgimento degli attori sociali nella definizione delle politiche. Il fondamento ideologico è che l’istruzione di buon livello crea occupazione; il fulcro di tale modello è quindi la formazione professionale rivolta ai giovani. Si caratterizza inoltre per politiche attive affiancate a politiche passive, in un quadro di complessivo bilanciamento e su politiche del lavoro indirizzate ad aumentare progressivamente la flessibilità nel mercato e se ne prevede un aumento progressivo.
• Modello spagnolo: fa parte, insieme all’Italia, di “sistemi di tipo Mediterraneo”, caratterizzato dalla presenza di strumenti inadeguati per favorire l’inserimento dei giovani e in particolar modo dall’inadeguatezza delle politiche attive. Si tratta di un sistema caratterizzato da un forte dualismo del mercato e da un elevato livello di protezione verso i lavoratori inseriti.
• Modello danese: è un modello misto che si caratterizza per un forte livello di flessibilità sia in entrata che in uscita dal mercato del lavoro, con una forte e generosa politica di protezione sociale e grossi investimenti nelle politiche attive.
Il benchmarking delle politiche attive e passive del lavoro giovanile nei Paesi esaminati restituisce un quadro molto eterogeneo con tendenze di fondo comuni.
• Nel modello inglese si registra come noto un forte sbilanciamento verso le politiche attive. In Gran Bretagna i destinatari delle politiche passive sono soprattutto i soggetti poveri, con basso reddito e a rischio indigenza. Sono previste prestazioni piuttosto circoscritte e poco generose dal punto di vista economico; inoltre il destinatario della prestazione economica ha l’onere di provare i mezzi. Sono inoltre previste come abbiamo visto sanzioni a carico di chi viola gli impegni che scaturiscono dalla ricevimento del sussidio economico. In via generale quindi, nel mondo anglosassone non vi è una politica di incentivazione al sussidio; tipico infatti di questo modello dal sapore liberale, il forte ricorso a meccanismi di mercato e schemi assicurativi di tipo privatistico.
• Nel modello tedesco, le politiche attive e quelle passive sono ben equilibrate e gestite dai centri per l’impiego sia pubblici che privati. Le politiche passive prevedono uno strumento poco dissimile dalla Cassa integrazione, ovvero una corresponsione di un’indennità economica temporanea proporzionale allo stipendio. Il sistema tedesco rafforza la protezione sociale dal rischio di disoccupazione mediante un’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione sulla base del principio contributivo. Le politiche attive vengono invece attuate mediante un sistema dinamico che pone al centro la formazione del giovane disoccupato. Uno dei pilastri del sistema organizzativo di welfare giovanile tedesco è la formazione che avviene mediante una parte teorica presso le scuole professionali e una parte pratica nelle aziende.
• Il modello misto attuato in Danimarca è caratterizzato un’ispirazione di tipo universalistico, con una forte protezione del lavoratore con un alto livello di flessibilità in entrata e in uscita dal mercato del lavoro. Nonostante si investa maggiormente sulle politiche attive, viene tutelato il principio della protezione sociale universale, stabilendo un indennità di disoccupazione generosa che può arrivare fino a 400 euro a settimana.
• Nel modello mediterraneo le politiche passive sono gestite da SEPE mentre le politiche attive sono stabilite in programmi autonomi spesso non correlati all’azione dei Centri per l’Impiego. Viene dedicata una cospicua parte della spesa a pubblica per le politiche passive, mentre le politiche attive risultano poco efficaci. In particolare in Spagna è prevista un’indennità di disoccupazione con durata biennale che interessa solo marginalmente i giovani perché è percepibile da chi ha un lavoro pregresso. Le politiche attive poco destinano alla formazione professionale ma si concentrano soprattutto sull’incentivazione dell’autoimpiego e dell’imprenditorialità.
Nonostante il panorama estremamente eterogeneo, è possibile tracciare alcune linee di tendenza comuni a tutti i Paese oggetto di benchmarking:
1. costituzione di organismi specificatamente dedicati all’ implementazione di politiche giovanili, nella consapevolezza che questo specifico target è uno dei più esposti alla crisi economica mondiale, e che, in un contesto di crescente difficoltà nell’accesso al mercato del lavoro, servono strumenti, soggetti e competenze dedicate;
2. tendenza alla progettazione di sistemi di “Welfare to work”, ovvero alla graduale integrazione tra politiche attive e passive, al fine di tutelare che non è ancora entrato o chi è uscito dal mercato del lavoro, spingendo al contempo verso comportamenti attivi e proattivi nei confronti della ricerca di un lavoro;
3. apertura ai soggetti privati per l’espletamento di diversi servizi, prevalentemente in un’ottica di integrazione del servizio pubblico (solo raramente in ottica di competizione con l’attore pubblico);
4. approccio customer oriented nell’erogazione dei servizi, sulla base del principio della differenziazione dei servizi e tecniche di profiling dell’utente;
5. diffusione del management by objectives e delle tecniche di valutazione, nella consapevolezza che i centri per l’impiego debbano configurarsi come moderne agenzie di orientamento, affiancamento e consulenza del giovane, orientandolo verso scelte che premiano la responsabilità individuale, la correttezza dei comportamenti e l’autoimprenditorialità;
6. rinnovata attenzione alla clientela delle imprese, che diventano un pilastro essenziale nel disegno di sistemi agevolanti l’incontro tra domanda e offerta del lavoro;
7. centralità dei portali nazionali di incontro tra domanda e offerta, ovvero creazione di data base coordinati a livello ministeriale, ma gestiti a livello fortemente territorializzato, nei quali confluiscono tutte le informazioni necessarie ad erogare servizi efficaci all’utente;
8. trasversalità e contaminazione tra politiche giovanili e politiche economiche più generali: lo Stato mette a punto programmi e politiche anche in altre aree dell’economia e della società, che hanno ricadute sul settore dei giovani; questo approccio necessita sempre di più di istituti di coordinamento per efficientare la co-progettazione e l’integrazione degli interventi;
9. uso crescente del sistema sanzionatorio, per cui le politiche assistenziali e di incentivazione sono sempre più accompagnata da regole stringenti per chi non rispetta le regole e non ha un comportamento attivo e proattivo verso il mercato del lavoro.
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