Gaetano Scognamiglio, Presidente PROMO PA Fondazione
Si segnala l'articolo pubblicato sul Sole 24 Ore Quotidiano Enti Locali & PA il 6/10/2016 di commento allo schema di decreto di riforma della dirigenza pubblica.
In questi giorni si rincorrono voci secondo le quali il Governo sarebbe intenzionato a tener conto delle varie obiezioni sollevate sulla bozza di Dlgs di riforma della dirigenza pubblica. Sul tema sono state fatte molte osservazioni, alcune da parte di chi ne é pregiudizialmente contrario, altre da parte di chi ne é accanito sostenitore, nella convinzione che si tratti di una modernizzazione del sistema che porterá importanti risparmi ai conti pubblici insieme a una maggiore efficienza del sistema.
Un riforma necessaria
Una qualche riforma appariva necessaria, almeno per razionalizzare quella giungla retributiva, evocata da Ermanno Gorrieri nel 1991 e rimasta tale, semmai infittitasi con la privatizzazione del pubblico impiego, con la nascita di autorevoli amministrazioni parallele e con la libertá gestionale di cui si sono avvalse partecipate pubbliche al 100%, che di privato hanno solo la forma. Ma non basta, esiste oggettivamente una asincronia temporale fra l'innovazione di cui il Paese ha bisogno e i tempi della burocrazia e a questa asincronia va posto sicuramente rimedio (anche se le criticità temporali sono spesso figlie delle leggi).
Detto questo e, quindi, riconosciuta la necessitá di rimettere ordine, va fatta una premessa di metodo. È noto che se non si dà fiducia al proprio interlocutore difficilmente se ne potrà ricevere. Se cosí é, non si può dire che in questi anni la dirigenza e in genere la pubblica amministrazione sia stata particolarmente motivata, perché il rapporto fra Pa e i vari Ministri che si sono succeduti in questi anni – salvo eccezioni – é stato improntato a un chiaro atteggiamento di sfiducia dei secondi nei confronti del proprio "esercito", il che non produce nulla di buono.
I cardini
Venendo ai contenuti di una riforma che, pertanto, non si inserisce in un clima particolarmente positivo, va evidenziato anzitutto che il Dlgs si regge su due pilastri, la capacitá della politica di selezionare i migliori a prescindere dall'appartenenza e la fiducia incondizionata nella idoneitá dei sistemi di valutazione a misurare le performances dei dirigenti.
Ora sul primo punto – prescindendo da considerazioni di legittimità costituzionale – e naturalmente evitando generalizzazioni, si lascia al lettore il giudizio, mentre sul secondo ci si è già soffermati in altre occasione sottolineando fra l'altro come obiettivi gestionali, dati nel migliore dei casi nella seconda metà dell'anno, non possano essere oggetto di seria valutazione perché o sono già stati raggiunti o sono irraggiungibili.
La composizione delle commissioni di vigilanza
Veniamo poi a un aspetto che supera la capacità di comprensione di persone di buon senso e che riguarda la composizione delle commissioni di vigilanza, una per ciascun ruolo, che dovrebbero essere registe e supervisori dell'applicazione della riforma, anche con compiti operativi. Si tratta quindi di organi di particolare rilevanza nel disegno riformistico, senonchè la loro composizione – Ragioniere Generale dello Stato, Presidente dell'Anac, segretario generale del Ministero degli Esteri e altri soggetti di pari calibro – ne garantisce già da ora l'assoluta impossibilità di funzionamento, per l'ovvio motivo che si tratta di personaggi, oberati da tali carichi di lavoro e responsabilità, che é impensabile che si possano riunire periodicamente per affrontare e risolvere tutte le problematiche di competenza delle Commissioni.
In questo quadro, in mancanza di ripensamenti sostanziali, si può ragionevolmente pensare che la Pa uscirà indebolita dalla riforma, il che non conviene neanche a chi la ha ispirata, visto che la pubblica amministrazione, proprio nei prossimi anni avrà più che mai bisogno di dirigenti motivati e con competenze tecniche adeguate per garantire da un lato le condizioni per lo sviluppo e dall'altro il mantenimento di una soglia accettabile di welfare con minori risorse.
Questa considerazione porta a pensare al futuro di questo Paese, che dovrebbe auspicabilmente essere amministrato dai tanti bravissimi giovani con laurea magistrale, che scelgano di percorrere la carriera pubblica … ammesso però che facciano tale scelta, stante le complessità per l'accesso alla dirigenza, la gavetta da fare, pur avendo vinto il concorso, prima di poter essere confermati dirigenti, la precarizzazione verso cui é avviata la professione e infine la probabile sfiducia verso uno Stato, che non garantisce almeno i diritti acquisiti dei propri dirigenti.
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