In ricordo di Carlo Dell’Aringa
di Alberto Stancanelli (in corso di pubblicazione in Nuova Etica Pubblica)
La scienza dell’economia del lavoro ha perso recentemente uno dei suoi più illustri studiosi. Carlo Dell’Aringa è improvvisamente scomparso lo scorso anno alla fine dell’estate, lasciando nel mondo della cultura, della ricerca, delle Istituzioni e nei rapporti umani e personali di chi lo conosceva un incolmabile vuoto. Come tutti gli intellettuali Carlo Dell’Aringa ci lascia i suoi scritti, le sue idee, i suoi contributi elaborati nella sua vita di studioso del mondo del lavoro, dell’economia del lavoro, delle relazioni industriali sia del settore privato che pubblico.
Dell’Aringa era uno studioso completo, un conoscitore profondo del lavoro pubblico e di quello privato e ben rappresentava intellettualmente il punto d’incontro tra due settori del lavoro che da circa venticinque anni cercano, trovando punti di incontro e regole comuni, quella osmosi voluta attraverso le riforme avviate nell’ultimo decennio del secolo scorso. Carlo Dell’Aringa è stato uno dei protagonisti di quella stagione di interventi strutturali di riforma del pubblico impiego e del nuovo modello delle relazioni sindacali, che si inseriscono nel quadro organico nelle riforme della fine degli anni Novanta, realizzate dal ministro Franco Bassanini, che hanno riguardato tutti gli aspetti dell’amministrazione pubblica e non solo il lavoro pubblico: funzioni, organizzazione, controlli, bilancio e semplificazione delle procedure.
Prima come componente e poi come Presidente dell’Aran, Dell’Aringa fu protagonista della contrattualizzazione del lavoro pubblico, voluta inizialmente con la riforma Amato-Sacconi, confermata e rafforzata dal ministro Sabino Cassese (si pensi alla norma sul potere disapplicativo dei contratti collettivi nazionali sulle norme di legge), implementata e sostanzialmente ampliata (si pensi alla norma sulla rappresentanza sindacale e al giudice unico del lavoro) nel quadro complessivo delle riforme amministrative dal Ministro Franco Bassanini.
La contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni fu realizzata e sostenuta con l’apporto tecnico di studiosi e intellettuali, sia dell’Aran che del Dipartimento della funzione pubblica, come lo stesso Carlo Dell’Aringa, Nino Freni, Ubaldo Poti e Massimo D’Antona che da giuslavorista guardava ad un diritto comune del lavoro. Massimo D’Antona, del quale ricorre quest’anno il ventennale della sua barbara uccisione, ha pagato con la vita, per mano della crudeltà e della follia di chi voleva governare il mondo con le pallottole e non con le idee e con il confronto democratico, il suo impegno per un nuovo e democratico sistema della rappresentanza sindacale nel pubblico impego, al quale come modello guarda il mondo del lavoro privato.
Tutti furono protagonisti dei primi contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati con le nuove regole proprie della contrattazione collettiva di diritto del lavoro, disapplicando molte delle norme di legge e regolamentari che disciplinavano lo stato giuridico e il trattamento economico dei dipendenti pubblici.
Carlo Dell’Aringa, nominato dal Ministro per la funzione pubblica Sabino Cassese componente dell’Aran, dopo che da organo monocratico, quale era l’Ares istituita con la riforma Amato-Sacconi, fu trasformato in organo collegiale, rappresentativo anche degli enti territoriali in attuazione della sentenza della Corte costituzionale, divenne, con la nomina di Tiziano Treu a Ministro del Lavoro del Governo Dini, Presidente dell’Agenzia proprio nella stagione più importante dell’avvio di un nuovo modo di disciplinare il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. (1)
Carlo Dell’Aringa, con la sua professionalità, cultura, pazienza, equilibrio e disponibilità all’ascolto e al confronto delle idee altrui contribuì attivamente a quel lavoro, con la stipula dei primi contratti collettivi, per il superamento degli istituti pubblicistici del lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni presenti nel T.U. del 1957 degli impiegati civili dello Stato e appartenenti ad un mondo e ad una pubblica amministrazione che doveva essere riformata per rapportarsi in modo diverso con la collettività, non potendo restare chiusa in se stessa, in quel piccolo mondo antico, come corpo estraneo e non parte integrante e protagonista dello sviluppo economico e sociale del Paese.
Indubbiamente una pubblica amministrazione moderna, ed efficiente, che sappia gestire razionalmente le risorse disponibili e operare sotto l’indirizzo di una buona politica che abbia a cuore l’interesse del Paese, può essere un valido strumento moderno e imparziale per il superamento delle disuguaglianze sociali del Paese. Molto potrebbe essere realizzato oggi da un buon contratto collettivo di lavoro e da una contrattazione decentrata, – e molto di più potrebbe essere realizzato se il legislatore non avesse invaso lo spazio della contrattazione a vantaggio della legge – per coniugare al meglio diritti e doveri dei dipendenti, costruire un trattamento economico accessorio legato al merito, sviluppare le migliori professionalità dei dipendenti pubblici in relazione al concreto fabbisogno, anche con lo strumento della formazione permanente. Reclutamento selettivo, organizzazione e ridisegno delle procedure in relazione alle innovazioni tecnologiche devono essere in costante simbiosi, ciascuno strettamente legato all’altro. Maggiori livelli di produttività possono richiedere ammodernamenti tecnologici e aggiornamenti dei processi produttivi, che richiedono a loro volta nuove professionalità, soprattutto per assecondare l’utilizzo delle nuove tecnologie dell’ICT. (2)
Servizi ai più bisognosi, alle famiglie, ai singoli, sanità, scuola, ricerca, università assistenza all’avvio al lavoro, equità sociale, welfare sono alcuni fondamentali settori in cui operano le nostre pubbliche amministrazioni e dove lo Stato con le sue strutture amministrative dovrebbe garantire con la stessa qualità i servizi su tutto il territorio nazionale, per contribuire a superare le persistenti disuguaglianze che oggi ancora esistono tra le diverse realtà territoriali del nostro Paese. La scarsa efficienza dei servizi pubblici pesa anche sul settore produttivo privato e condiziona gli investimenti esteri. (3) Un Paese moderno non può far dipendere la qualità della vita di un suo cittadino dalla fortuna che questo ha di vivere in una regione o in una città rispetto ad un’altra. Tutto questo, come sosteneva anche Carlo Dell’Aringa, non può prescindere da una corretta valutazione delle performance organizzativa e individuale delle stesse amministrazioni pubbliche e della loro dirigenza, dirigenza che sappia realmente svolgere la funzione di datore di lavoro in rappresentanza dell’amministrazione e dei cittadini e che non sia, come avviene spesso, controparte della stessa amministrazione. Proprio un diverso rapporto tra contrattazione collettiva nazionale e contrattazione decentrata può essere un buon strumento per incentivare concretamente le amministrazioni a migliorare la qualità dei servizi. Se un’amministrazione è più efficiente di un’altra a parità di contratto collettivo, la contrattazione decentrata può essere lo strumento per valorizzare il lavoro e la produttività dei dipendenti a vantaggio della collettività. Il contratto collettivo nazionale di lavoro può regolare i diritti e i doveri fondamentali e una retribuzione garantita e definita a livello nazionale, lasciando al secondo livello il ruolo di determinare la dinamica delle retribuzioni in relazione alla maggiore efficienza e produttività verso la collettività, con l’obiettivo di decentrare maggiormente la contrattazione per rendere le retribuzioni più flessibili, garantendo sempre un livello minimo per settori omogenei. In questo quadro la Contrattazione Nazionale si dovrebbe limitare a”…fissare dei salari minimi nazionali intesi essenzialmente come “rete protettiva”. Ciò come livelli sotto i quali non si può scendere, dei veri e propri “minimi per legge”, che lasciano al livello aziendale il compito di determinare la dinamica anche delle componenti fisse delle retribuzioni di fatto.” (4)
Un’amministrazione meglio organizzata e più efficiente con una migliore qualità del lavoro e migliori risultati non ha alcuna ragione per non retribuire meglio i propri dipendenti rispetto ad altri dipendenti pubblici che, in attività simili, non raggiungono gli stessi risultati. Non deve spaventare la diversificazione delle retribuzioni in base al merito, se però si riescono ad introdurre strumenti oggettivi di valutazione dei risultati e una dirigenza che sia un vero datore di lavoro controparte delle Organizzazioni sindacali e libera dai vincoli e condizionamenti da parte della politica. Purtroppo, come rilevava Carlo Dell’Aringa nel nostro Paese si è sempre “…privilegiato l’aspetto di equità, uguaglianza e di imparzialità, al di sopra di quelli di efficienza e di efficacia. Nella nostra cultura l’immagine dello Stato come “buon datore di lavoro” è quella che ha prevalso rispetto a quella di fornitore di servizi di buona qualità (e di basso costo) a cittadini e imprese”. (5)
Tutto ciò può avvenire solo se i cittadini, destinatari dei servizi, sono protagonisti e compartecipanti nella valutazione delle organizzazioni pubbliche in relazione alla qualità dei servizi e delle prestazioni, ma anche se gli Organismi Indipendenti di Valutazione che devono supportare, assistere e sorvegliare l’organo di indirizzo politico, al quale deve spettare il compito finale della valutazione, sono realmente autonomi nella loro funzione. Non vanno, quindi, ricercate soluzioni di valutazione allocate in organismi o strutture poste al di fuori dell’amministrazione deresponsabilizzando la politica che deve indirizzare l’azione amministrativa, determinare gli obiettivi strategici e quindi valutare la dirigenza. Una autovalutazione referenziale delle prestazioni non può ammettere un modello diversificato di retribuzione accessoria o integrativa del minimo contrattuale. Infatti, è necessario sempre anche “effettuare confronti delle performance ottenute tra amministrazioni, aziende ed unità organizzative simili o comunque confrontabili, anche dislocate sul territorio, in una ottica di benchmarking”, e vanno sempre comunque validate “l’efficacia e l’efficienza degli strumenti e dei processi di valutazione interna, al fine di risolvere eventuali problemi di autoreferenzialità”. (6)
L’amministrazione pubblica oggi non ha bisogno di riforme legislative, la produzione normativa produce solo incertezza e farraginosità delle procedure: le basi normative sono già state poste negli anni passati. Serve attuare le riforme e i necessari cambiamenti in via amministrativa, e con gli strumenti della Contrattazione collettiva e decentrata. In realtà manca ancora oggi una costante implementazione, la verifica e il controllo sull’attuazione e sulla qualità dei servizi, manca la garanzia della indipendenza della dirigenza pubblica rispetto alla politica; manca una politica che sappia definire gli obiettivi e valutare, con il contributo dei cittadini, il loro raggiungimento con il miglioramento della qualità dei servizi cui legare una parte consistente della retribuzione della dirigenza e dei dipendenti, manca l’investimento di risorse sulla formazione dei dipendenti pubblici e il ricambio generazionale con nuove e moderne professionalità in relazione ai nuovi fabbisogni. Ancora oggi manca un’amministrazione, che pur in presenza di eccellenze, riesca comunque a erogare prestazioni essenziali di qualità omogenee su tutto il territorio nazionale, superando o almeno riducendo consistentemente le disuguaglianze tra i cittadini.
Questi sono stati anche gli obiettivi di Carlo Dell’Aringa, per un’amministrazione pubblica efficiente e moderna, impegnato con grande spirito di servizio nell’interesse della collettività e del Paese, coniugando con il suo lavoro di studioso (quando non rivestiva cariche istituzionali) e di uomo delle Istituzioni, i diritti dei lavoratori con i diritti dei cittadini per avere sempre servizi migliori erogati dalle pubbliche amministrazioni.
Carlo Dell’Aringa ha sempre riconosciuto l’importanza del ruolo della dirigenza pubblica e la necessità di una leadership forte che sappia governare processi complessi e sia valutata oggettivamente e retribuita in relazione al miglioramento della qualità dei servizi resi alla collettività. Carlo Dell’Aringa aveva, infatti, ben presente che una pubblica amministrazione efficiente e imparziale è una amministrazione che può contribuire in modo determinante con i suoi servizi al superamento delle disuguaglianze, perchè Dell’Aringa era un cattolico fortemente ispirato ai valori della solidarietà e della tolleranza, e al rispetto degli altri, in particolare verso i più deboli e verso gli ultimi, ai quali lo Stato deve dare la possibilità di realizzare la propria individualità, riconoscendo e garantendo loro sempre la dignità come uomo, come lavoratore, come soggetto che è parte integrante della collettività. Le sue battaglie (portate avanti con determinazione, ma sempre da uomo mite e gentile) sono sempre state combattute per un mercato moderno del lavoro a tutela dei lavoratori, ma senza tralasciare, rifiutando soluzioni assistenziali, chi è fuori dal mondo produttivo, come i disoccupati e i giovani, che non hanno rappresentanza e la forza per far sentire la propria voce, ed ai quali chi dovrebbe, per il proprio ruolo, non presta la dovuta attenzione.
A questi princìpi Carlo Dell’Aringa, cattolico e riformista, non è mai venuto meno, impegnandosi fortemente come attento studioso, come professore ordinario dell’Università Cattolica di Milano e componente di varie Associazioni scientifico-culturale ed in particolare dell’Arel per la quale ha curato molte pubblicazioni; come opinion leader (collaboratore del Sole 24 ore ); come uomo delle Istituzioni (Presidente dell’Aran dal 1995 al 2000 e Commissario dell’ISFOL dal 2001 al 2004) e di governo come Sottosegretario al Ministero del lavoro nel governo Letta, (esperienza interrotta da chi doveva “rottamare” vecchi metodi, ma ha “rottamato” solo persone ed esperienze) e poi come parlamentare nella restante legislatura in Commissioni Lavoro e Bilancio.
Carlo Dell’Aringa era l’uomo dell’unire e non del dividere, era ben consapevole che, nel mondo del lavoro, dai conflitti permanenti tutti escono sconfitti e i più deboli soccombono sempre con danni ingenti per la propria vita, la propria famiglia, i propri affetti, la propria dignità di uomo e di lavoratore, trascinando nell’oblio il vivere sociale e il benessere collettivo.
Scriveva di recente Carlo Dell’Aringa su “La necessità di riprendere il cammino per aumentare l’efficacia della P.A. e la produttività del pubblico impiego rimane intatta e ci ripropone la sfida di individuare relazioni sindacali orientare a questo obiettivo”. (7) Il cammino di vita di Carlo Dell’Aringa si è tristemente interrotto e ci ha privato delle sue analisi, delle sue idee e proposte per una società, un mondo del lavoro e una pubblica amministrazione che garantisca una migliore qualità dei servizi e delle prestazioni: a noi resta l’impegno, anche verso gli altri compagni di strada che ci hanno lasciato, di continuare in questa sfida non facile, ma necessaria per lo sviluppo e il benessere del nostro Paese.
(1) Proprio all’Aran, tra il 1994 e il 1996, prima di passare al Dipartimento della funzione pubblica per collaborare con il Ministro Franco Bassanini, ho avuto modo di conoscere e lavorare con Carlo Dell’Aringa, all’inizio lo ammetto con qualche diffidenza sul professore universitario venuto da Milano ad occuparsi dei pubblici dipendenti, ma subito la diffidenza si è trasformata in sintonia, grazie anche ai suoi modi sempre riflessivi pronto ad ascoltare e a confrontarsi con gli altri, senza arroganza o soluzioni predeterminate. Un rilevante ruolo nella prima fase di avvio della contrattazione collettiva dell’Aran fu volto dai funzionari comandati dalle altre amministrazioni a supporto del Comitato Direttivo (non avendo al suo inizio l’Aran una propria dotazione organica), come Silvana Dragonetti, Sergio Gasparrini, Antonio Naddeo, Ubaldo Poti e Antonio Zucaro.
(2) Carlo Dell’Aringa intervento su “Riforma del pubblico impiego”, in Seminari AREL del 2 marzo 2017.
(3) Una recente inchiesta, di una delle più autorevoli firme del Corriere della Sera, Federico Fubini, ha ricordato proprio quanto sia diversa la qualità dei servizi sul territorio e come possa incidere sulla vita delle persone basti pensare che chi nasce a Trento ha un’aspettativa di vita di 2 anni in più rispetto ad un cittadino della Calabria. (in Corriere della Sera del 3 gennaio 2019). Infatti, le disuguaglianze tra i cittadini non possono limitarsi ai soli redditi o ai patrimoni, ma devono essere valutate anche in relazione alle prestazioni erogate dalle amministrazioni che incidono sulla qualità della vita.
(4) Cosi Carlo Dell’Aringa, Contrattazione collettiva e ruolo dei dirigenti” in “Lavoro pubblico fuori dal tunnel? – Retribuzioni, produttività organizzazione”, Carlo Dell’Aringa e Giuseppe Della Rocca (a cura di), Il Mulino, 2017, p. 150.
(5) Così Carlo Dell’Aringa, “Contrattazione collettiva…..” cit. p. 143.
(6) Introduzione al volume “L’Eccellenza nelle pubbliche amministrazioni- valutare oltre gli aspetti formali”, a cura di Carlo dell’Aringa e Giuseppe Della Rocca, Monografie AREL, 2015.
(7) Carlo Dell’Aringa, “Contrattazione collettiva…” cit., pag. 138