E’ con una citazione gramsciana che Gustavo Piga intitola il suo nuovo libro, edito da Hoepli, “Interregno”, per definire un’epoca, quella attuale, che è appunto di passaggio, come sospesa fra un posteuropeismo sovranista dalle motivazioni solo in parte giustificate e comunque senza prospettive e un europeismo acritico ed in sostanza elitario , entrambi possibili esiti di un futuro che si percepisce oscuro e dai difficili contorni. Ed è questo che Piga vuole aiutarci a comprendere sulla base di un’analisi , che non è condotta da un economista puro quanto da un economista che ha il senso della storia e che pertanto – si pensi ai decenni e alle tragedie che hanno accompagnato la costruzione degli United States – deve essere collocata in una prospettiva di lungo periodo. All’analisi seguono proposte avanzate con la lucidità di chi è consapevole che non si possono imprimere accelerazioni pericolose o passi indietro altrettanto dannosi per un paese, l’Italia , che molto ha dato per la costruzione europea ma che sul piatto dell’ideale europeo ha dovuto mettere non pochi sacrifici.
In questa quadro, che prende le mosse dalla crisi del 2008, aggravata poi dalla pandemia, si collocano appunto gli economisti , che come è stato autorevolmente rilevato non hanno saputo a suo tempo rispondere alla domanda sul perché non avessero previsto quella crisi . Forse è perché non sono riusciti “ a farsi considerare gente umile di competenza specifica” come avrebbe voluto Keynes , volendo sottolineare che magari consigli e avvertimenti talvolta li danno ma non vengono seguiti.
Qualcuno peraltro aveva cominciato da tempo a nutrire dubbi sulla strada che sarebbe stata intrapresa , come ci ricorda Piga, evocando la posizione del Regno unito, che rifiutò di firmare il “fiscal compact” , che l’Autore definisce il pilota automatico nella tempesta perfetta e che forse è stata la prima avvisaglia di quell’esito traumatico e tuttora indefinito che sarebbe stata la Brexit.
Sulle proposte l’Autore sviluppa un’idea di Europa, che può trarre insegnamento dallo shock pandemico che le ha fatto abbandonare rigidità suicide a partire appunto dal fiscal compact. Ma quale Europa ? Non certo quella federalista che ridurrebbe ancora la possibilità di intervento dei singoli Paesi di fronte a crisi locali, che sicuramente non avrebbero spazio in una gestione sovranazionale. In più un ‘ Europa federale aumenterebbe il peso delle elites lasciando il campo a tutto ciò che ha fatto dell’Europa un soggetto guardato con sospetto per l’iper regolamentazione, che produce e per la complicatissima governance con i connessi infiniti tempi decisionali , col rischio infine di una paralisi completa ove mai dovesse mancare un leader all’altezza della situazione.
La soluzione sta nel dare veste giuridica a quel principio di solidarietà che non trova una declinazione conseguente nei trattati . Basterebbe – e non sarà facile- dare un connotato nuovo al fiscal compact prevedendo la possibilità per i Paesi in difficoltà di essere fiscalmente espansivi . Forse un illusione ma prima del Covid sembrava impossibile l’emissione di un debito comune …
Piga conclude volgendo uno sguardo all’Italia, dando merito al Governo giallo verde di essere riuscito a smarcarsi dalla macchina infernale del fiscal compact, anche se la lotta alla povertà – e qui ritorna uno dei tanti collegamenti con la storia americana e in particolare con new deal – sarebbe stata assai piuù efficace investendo le risorse in un grande piano per il “Rinascimento delle infrastrutture italiane” già proposto ai tempi del governo Monti e mai attuato.
Ma questa è un’altra storia , che leggeremo forse nel prossimo libro di Piga.
Gaetano Scognamiglio, Presidente PROMO PA Fondazione